Giornata Mondiale dell’acqua
Se le guerre del Ventesimo secolo sono state combattute per il petrolio, quelle del Ventunesimo avranno come oggetto del contendere l’acqua. Lo disse una ventina di anni fa l’economista Ismail Serageldin, annunciando una profezia oggi avverata.
In occasione della Giornata mondiale dell’acqua pubblichiamo l’articolo di Piemonte Parchi scritto in collaborazione con LVIA, un’associazione di solidarietà e cooperazione internazionale, impegnata per lo sviluppo equo e sostenibile e il dialogo con le comunità africane
Nel 1995, l’economista Ismail Serageldin lanciò dallo scranno della Banca Mondiale, di cui era vicepresidente, una profezia che negli anni a venire avrebbe goduto di larga eco: Se le guerre del Ventesimo secolo sono state combattute per il petrolio, quelle del Ventunesimo avranno come oggetto del contendere l’acqua. Per arrivare a questa conclusione gli è bastato incrociare i dati sulla disponibilità delle risorse idriche globali con le proiezioni geopolitiche.
C’è una scia d’acqua che alimenta i focolai di tensione di mezzo Mondo, e man mano che questa scia si assottiglia, si rischiano combustioni sempre maggiori. Il tema dell’acqua si è così guadagnato i primi posti sulle agende politiche, piccole e grandi.
Primato poco ambito, perché, dalla sanità alle discriminazioni di genere, dall’educazione all’economia, non c’è campo che non si rifletta in uno specchio d’acqua.
Secondo dati dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), tra le 15 e le 30mila persone muoiono ogni giorno per carenze idriche. È come se, ogni dieci giorni, avvenisse uno tsunami simile a quello che, nel Natale 2005, ha sconvolto l’Oceano Indiano. Tremilanovecento di questi sono bambini: quanto le vittime dell’11 settembre. Eppure non ci sono raccolte fondi su larga scala. Non esistono immagini spettacolari da mandare in televisione all’ora di cena. Non c’è un fronte internazionale compatto per offrire una risposta a questa offensiva della sete.
Sarà che non si tratta di un nemico troppo telegenico. Le uniche tracce sono lasciate da tante piccole figure che si stagliano su paesaggi infuocati. Sono donne, il più delle volte. Impiegano fino a dieci ore al giorno per raggiungere fonti d’acqua, insieme ai loro bambini. Per questo non possono andare a scuola o aspirare a un ruolo politico nella comunità. Per questo le loro figlie sono destinate a ripercorrere gli stessi passi.
L’acqua vietata, proibita, sofferta rende schiavi, ma non è una questione che riguarda solo le donne. Come si fa a sviluppare le potenzialità della propria comunità, a tutti i livelli, se si passa tutto il tempo a cercare acqua pulita per se e per i propri animali?, si chiede Abu Agh Assabit, da Gao (Mali), presidente di una delle più longeve ong (organizzazioni non governative) africane, Tassagh. La sua organizzazione da più di dieci anni lavora con l’ong italiana Lvia, e gli basta guardarsi attorno per avvertire tutta la gravità del problema. Il deserto, qui, come il tutto il Sahel, avanza. E non è un caso che la mia città, Gao, sia il punto di partenza di tutti i disperati che vogliono raggiungere l’Europa e sono disposti a farsi la traversata del Sahara. Campi asciutti sotto il sole e pascoli bruciati non lasciano tante alternative. In tutta l’Africa è una storia che si ripete e, a volte, prende pieghe drammatiche. La parte orientale del continente è tuttora teatro di una delle peggiori siccità degli ultimi anni e qui la corsa alle risorse sfocia facilmente in violenza. L’inasprimento delle condizioni climatiche fa la sua parte, ma l’inadeguatezza delle strutture sociali e politiche nel far fronte ai disastri ambientali assesta il colpo di grazia. La ragione a cavallo tra Etiopia e Kenya, ad esempio, ha visto nei mesi precedenti scontri feroci tra gruppi nomadi per aggiudicarsi i pochi pozzi a disposizione per il bestiame. Molte famiglie sono costrette ad approvvigionarsi a pozzi di acqua infetta o non potabile.
Solo per il Corno d’Africa, e per rispondere direttamente all’emergenza per l’infanzia, l’Unicef ha chiesto 84 milioni di dollari, ricevendone meno della metà.
La tendenza generale vede nella carenza d’acqua nient’altro che un capriccio meteorologico: c’è poca acqua perché piove poco, è la spiegazione tautologica. E, ovviamente, dove piove di più, c’è più acqua. Non è altrettanto ovvia, però la ripartizione delle risorse idriche. Stando ai dati del World Water Council, l’acqua rinnovabile potenziale per il consumo umano ammonta a 10/12.000 km³. In un mondo ideale, ciascuno di noi avrebbe a disposizione 15.000 litri d’acqua a testa. Il problema è che questo mondo è ideale a certe latitudini e non ad altre. Un italiano, ad esempio, consuma quotidianamente 220 litri d’acqua al giorno; un etiope, invece, 14 litri e un burkinabe 9.
Un miliardo e 100 milioni di persone non hanno attualmente accesso all’acqua potabile mentre due miliardi e 600 milioni non possono usufruire di servizi igienici adeguati. Il 2003 è stato proclamato dalle Nazioni Unite Anno internazionale dell’Acqua.
Tre anni prima, l’Onu aveva lanciato gli Obbiettivi del Millennio, ovvero una lista di priorità e impegni globali rivolta a governi e società civile. Il settimo obbiettivo sulla sostenibilità ambientale consiste, tra l’altro, nel dimezzare, entro il 2015, il numero di persone prive di un accesso sostenibile all’acqua pulita e ai sistemi sanitari di base: ovvero garantire la possibilità di poter usufruire, limitando gli sprechi, di risorse idriche rigenerabili, diritto indispensabile per condurre una vita in dignità umana e un prerequisito per la realizzazione degli
altri diritti umani.
La comunità internazionale ha fatto suoi tali principi in modo più o meno concreto. Si è cominciato a parlarne più spesso nei meeting internazionali. Il tema ha tenuto banco nei diversi forum mondiali: in quello di Città del Messico che si è tenuto in marzo, ad esempio, dove gli enti locali hanno fatto sentire la loro voce e hanno ribadito il loro impegno a garantire il diritto all’acqua al nord e al sud attraverso forme
innovative di cooperazione. L’OMS ha messo in luce come la realizzazione del settimo obbiettivo potrebbe apportare un ritorno economico tra i 3 e i 34 dollari, a seconda della regione, per ogni dollaro investito.
Una migliore allocazione delle risorse idriche pulite innesca pertanto un circolo virtuoso che può investire il campo sanitario (con una sostanziale riduzione delle infezioni renali ed epatiche dovute ad acque impure), quello sociale (permettendo a donne e bambini di svincolarsi dall’onere della ricerca di acqua e quello geopolitico (limitando le tensioni relative all’approvvigionamento idrico e l’immigrazione, vero e proprio drenaggio di risorse umane da territori incalzati dalla desertificazione).
Si tratta di un processo che deve necessariamente coinvolgere i grandi attori internazionali, politici ed economici, ma che presuppone una massa critica di coscienza davvero globale, e che stabilisca un ponte tra il Nord e il sud.
Uno di questi ponti è la Campagna Acqua è vita, un’iniziativa lanciata nel 2003 dall’ong Lvia proprio per sostenere il settimo obbiettivo del Millennio. L’accesso all’acqua non è una delle tante dimensioni dello sviluppo: è la condizione necessaria per lo sviluppo, dice Gianfranco Cattai, responsabile della Campagna. Non si tratta solo di portare una pompa eolica o una diga in una comunità del Sahel o dell’Etiopia. Il punto è stabilire le basi su cui la comunità può sviluppare le proprie risorse. E, nel caso della nostra Campagna, il tema dell’acqua è una specie di ‘lingua franca’ grazie al quale il Nord e il Sud del mondo possono dialogare.
Attraverso azioni di sensibilizzazione in giro per la penisola (come ad esempio il Giro d’Italia della solidarietà in bicicletta, le mostre itineranti e gli eventi di cui viene data notizia sui siti www.acquaevita.it e www.lvia.it ), la Campagna punta a raccogliere fondi per progetti idrici che garantiscano acqua pulita a 500.000 persone in nove Paesi africani entro il 2006. C’è però un’idea ancora più ambiziosa: rafforzare
la consapevolezza della società civile, fare e diffondere politica e cultura della cooperazione. Vanno in questa direzione i club Acqua è vita, gruppi spontanei di portatori d’acqua, come vengono definiti, che, dopo essere entrati in contatto con la Campagna, raccolgono il guanto di sfida. Ma anche gli enti locali che hanno trovato nell’obbiettivo della campagna un catalizzatore di energie, che va ben al di là della raccolta di fondi per progetti idrici. Quella dei Comuni della Valle Camonica è un’esperienza eloquente: per la prima volta, infatti, diciassette comuni della Comunità Montana hanno trovato un collante per lavorare insieme. A partire da questo progetto, la collaborazione si è estesa anche ad altri ambiti. E ha permesso di capire che, spesso, aprire, o, meglio, chiudere il rubinetto, può fare tanto. A Nord e a Sud del mondo.
Fonte Piemonte Parchi